
Nel grande mosaico del pensiero iniziatico, vi sono figure che si stagliano con forza pur restando ai margini della narrazione ufficiale. Tra queste, due figli della medesima terra — la Calabria antica, forte e iniziatica — meritano di essere riportati alla luce: Luigi Lilio e Giano Lacinio. Scienziato il primo, alchimista e filosofo il secondo, entrambi operarono in quel XVI secolo così profondamente segnato dalla tensione tra sapere ermetico e razionalità nascente. Le loro opere, tutt’altro che remote, risuonano oggi come specchi di una ricerca autentica, come inviti a riconnettere il rigore del calcolo con il fuoco della trasmutazione interiore.
Il tempo come armonia: Lilio e l’architettura celeste
Luigi Lilio nacque nel 1510 a Cirò, l’antica Psycròn. Il suo nome è legato alla riforma del calendario, promulgata da Papa Gregorio XIII nel 1582, ma concepita e strutturata proprio da lui: un lavoro scientifico, sì, ma animato da una tensione filosofica profonda. Il calendario gregoriano non è soltanto un sistema di misura del tempo: è una forma, una struttura ordinata dell’armonia celeste. Il vecchio calendario giuliano accumulava errori che spostavano progressivamente l’equinozio di primavera — punto di equilibrio tra luce e ombra, simbolo di rinascita per tutte le culture iniziatiche — verso date sempre più sfasate.
Lilio propose una riforma coraggiosa: eliminare dieci giorni, ridefinire il calcolo degli anni bisestili con una nuova regola basata sulla divisione per 4 e per 400, e soprattutto introdurre il ciclo delle epatte, capace di stabilire con precisione il momento pasquale. Dietro questa struttura, si cela una vera e propria visione cosmologica. Per noi Liberi Muratori, che nel ritmo del solstizio e del l’equinozio riconosciamo l’eterna dialettica tra il visibile e l’invisibile, tra l’ordine e il caos, tra il tempo profano e il tempo sacro, l’opera di Lilio si carica di un significato esoterico: rimettere in armonia il tempo dell’uomo con il tempo del cielo è un gesto simbolico, un atto che riflette il lavoro quotidiano sul proprio microcosmo. Il calendario, così come il Tempio, è una macchina simbolica che orienta, misura, e insegna.
La via della trasmutazione: Giano Lacinio e il fuoco interiore
Coetaneo e conterraneo di Lilio, Giano Lacinio, conosciuto anche come Giano Terapo, è figura avvolta nel mistero. Francescano del Terzo Ordine, ricevette una formazione umanistica nel convento di Cirò, proseguì gli studi a Padova e pubblicò a Venezia nel 1546 la sua opera più nota: Pretiosa Margarita Novella de Thesauro, ac Praeciosissimo Phylosophorum Lapide. In essa, l’alchimia non è intesa come semplice manipolazione della materia, ma come processo interiore, come via di elevazione spirituale. Lacinio si inserisce in quella corrente che fa dell’alchimia un linguaggio universale, nel quale ogni metallo corrisponde a una qualità dell’anima, ogni fase del l’opus a un momento della purificazione interiore. Il piombo, la materia oscura e grezza, rappresenta la nostra condizione profana; l’oro, la perfectionem spiritualem.
È la stessa simbologia che ritroviamo, in altra forma, nei tre gradi simbolici: l’apprendista che lavora la pietra grezza, il compagno che cerca l’armonia, il maestro che affronta la morte simbolica per rinascere. Il triangolo come simbolo del fuoco, il numero sette come sintesi dei metalli e dei pianeti, l’unione degli opposti nella coniunctio alchemica: tutto in Lacinio parla al l’iniziato. Egli, come i filosofi ermetici, crede che la conoscenza non sia mera erudizione, ma trasformazione: e, in questo senso, può essere considerato un Massone ante litteram.
Due percorsi, un’unica via
La coincidenza geografica – entrambi originari di Cirò – non è banale. In quella Calabria che fu crocevia di Pitagora, di scuole misteriche e di rotte mediterranee, sembrano concentrarsi due anime apparentemente distanti: quella scientifica e quella ermetica. Eppure, tanto Lilio quanto Lacinio compiono lo stesso gesto archetipico: ordinare. Lilio ordina il tempo, Lacinio la materia. Lilio guarda al cielo e ai cicli astronomici, Lacinio scruta nel crogiolo e nell’anima. Ma entrambi tracciano un cammino verso la Luce. In tempi in cui l’esoterismo è spesso confuso con il vago e l’informe, queste due figure ci ricordano che rigore e simbolo non sono opposti, ma fratelli: il compasso misura tanto le orbite quanto le emozioni; la squadra verifica tanto la struttura di un Tempio quanto la rettitudine del cuore.
Una tradizione che unisce cielo e fuoco
Il Massone non si limita a venerare la Tradizione: la interroga, la vivifica, la proietta. Così facendo, il lavoro di questi due uomini non rimane confinato alla storia. Al contrario: diventa traccia operativa. Da Lilio, impariamo che ogni nostra azione deve essere ritmata, misurata, allineata con il cosmo. Da Lacinio, apprendiamo che senza trasmutazione interiore, ogni conoscenza è sterile. Entrambi, come due colonne ai lati del portale, ci ricordano che la via iniziatica è fatta di sapere e di fuoco, di precisione e di fede, di osservazione e di silenzio. In un tempo come il nostro, in cui il passato rischia di essere archiviato come una curiosità, queste due figure ci esortano a rimettere al centro della nostra opera l’atto di tradere – trasmettere, consegnare. Lilio ci ha donato il tempo. Lacinio ci ha donato il senso. Sta a noi unire le due cose, con il cuore acceso e lo sguardo volto alle stelle.
Giulio Curcio Terremoto


